Tutto ha un senso: "iosonolibero"

Presso da: #iosonoliberodamare Francesco Sala


A volte mi viene da pensare che senso abbia la malattia, si badi bene non la mia patologia, ma l'oggetto che ha per soggetto l'uomo, inteso in senso universale.

È una domanda di senso, è l'interrogativo esistenziale di chi vive una malattia cronica e fortemente invalidante, che merita una riflessione da condividere, come ho sempre fatto e giammai smetterò di fare, nessuna ragione logica e razionale mi può fermare.

Umberto Galimberti, Max Weber, e una situazione contingente sono state le concause dell'argomento che ho sentito di trattare, affrontare, sviluppare.
Qualcuno sicuramente si chiederà quale nesso logico colleghi un filosofo, sociologo, psicoanalista, italiano, della nostra epoca con un sociologo, economista e filosofo tedesco, vissuto tra la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento.
Tutto ha un senso, sono fra coloro che mi hanno insegnato, indirettamente, a pensare, ad essere me stesso, sempre e comunque, come lo sono stato per tutta la vita.
Ogni uomo, o donna che sia, per la filosofia ha una propria identità personale, unica, indistinta, che è la capacità dell'individuo di avere consapevolezza del permanere costante del proprio “io”, immutabile, al di là del tempo e delle diverse e varie esperienze che hanno segnato la sua vita fino all’oggi.
Per la sociologia il concetto di identità “riguarda la concezione che un individuo ha di se stesso nell'individuale e nella società, quindi l'identità è l'insieme di caratteristiche uniche che rende l'individuo unico e inconfondibile, e quindi ciò che ci rende diverso dall'altro.
L'identità non è immutabile, ma si trasforma con la crescita e i cambiamenti sociali.”

Personalmente concordo con l'affermazione sociologica, se da un canto è vero che la consapevolezza del nostro “io” è immutabile, è altrettanto vero che la malattia, ad esempio, lede, indipendentemente da noi stessi, la percezione che gli altri, la società, hanno di noi.

Per il sociologo, antropologo, filosofo francese Pierre Bourdieu, il corpo è inteso come il mediatore tra noi e il mondo, una conoscenza incorporata, un ”Habitus”, secondo il concetto di campo in sociologia e in antropologia, teorizzato dallo studioso.

Un ammalato, il cui corpo viene trasformato dalla patologia clinica, mantiene la propria identità originaria, dopo la trasformazione che lo rende totalmente invalidante?

È un “cul de sac”, ossia in un vicolo cieco, in una strada senza uscita, o il paradosso della nave di Teseo?



“Si narra che la nave in legno sulla quale viaggiò il mitico eroe greco Teseo fosse conservata intatta nel corso degli anni, sostituendone le parti che via via si deterioravano. Giunse quindi un momento in cui tutte le parti usate in origine per costruirla erano state sostituite, benché la nave stessa conservasse esattamente la sua forma originaria.

Ragionando su tale situazione (la nave è stata completamente sostituita, ma allo stesso tempo la nave è rimasta la nave di Teseo), la questione che ci si può porre è: la nave di Teseo si è conservata oppure no? Ovvero: l'entità (la nave), modificata nella sostanza ma senza variazioni nella forma, è ancora proprio la stessa entità? 
O le somiglia soltanto?”

Ho citato il paradosso della nave di Teseo perché mi sono chiesto: la SLA ha cambiato la mia identità, o è solo cambiato il corpo, e giacché è cambiato solo la struttura fisica, perché la società mi scruta ed osserva come se fossi un'altra entità, contraddicendo il principio della proposizione formulata per assurdo?


Tutto ha un senso, è inutile speculare, è tempo disperso dal vento, come la pula nell'aia. 
Mi piace citare l'appunto di Alessandro Baricco sul libro di Andre Agassi, “Open”.

“[…] A me risulta che la ricerca del senso è una sorta di partita a scacchi, molto dura e solitaria, e che non la si vince alzandosi dalla scacchiera e andando di là a preparare il pranzo per tutti. È ovvio che occuparsi degli altri fa bene, ed è un gesto così dannatamente giusto, e anche inevitabile, necessario: ma non mi è mai venuto da pensare che potesse c'entrare davvero con il senso della vita. Temo che il senso della vita sia estorcere la felicità a se stessi, tutto il resto è una forma di lusso dell'animo, o di miseria, dipende dai casi. Peraltro, è anche possibile che mi sbagli. È giusto un pensiero istintivo – un certo modo di vedere il mondo.”



Tutto ha un senso,
la vita, la morte,
le gioie, i dolori,
gli errori fatti e ricevuti,
l'ignoranza, l'arroganza,
i palchi, i fiori, gli applausi!

Non importa il falso,
non importa l'ingiustizia,
non importa chi ti abbandona,
ho un segreto nascosto,
ricolma tutti i vuoti,
le incomprensioni,
l'effimero,
la vita va ben al di là!

Tutto ha senso,
e io mi ci tuffo dentro!

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