San Camillo de Lellis e l'amore per gli ammalati

[...] Quando stava con gli infermi, quando li assisteva curava serviva de Lellis era come vorremo fossero tutti i medici e gli infermieri ogni volta che visitano e trattano con noi o con i nostri cari. Diligente, preciso, scrupoloso, attento, tempestivo, prima di tutto dava il meglio di sè sul piano che oggi definiamo professionale, tecnico. Ma soprattutto i malati li  AMAVA, VI VEDEVA CRISTO,  concretamente, sofferente e crocifisso; perciò aveva con loro il rapporto che un cristiano fervoroso, un santo ha con Gesù, nel Getsemani o sul Calvario: guardava a loro con quel trasporto, con quel cuore. Li trattava con AFFETTO, TENEREZZA, PREMURA, DELICATEZZA, dall'accettazione in ospedale (o dal suo arrivo in casa dell'infermo) fino alla dimissione, o al decesso. 

De Lellis viveva per i malati, pensava sempre a loro, a cosa fare, come provvedere per farli stare meglio, trattarli con più dignità, confortarli, rasserenarli, guarirli nel corpo e nell'anima, renderli alla vita di nuovo efficienti oppure aiutarli con la parola, la grazia, i sacramenti a salire in Cielo. Perché i malati SONO GESÙ, IL CRISTO DELLA PASSIONE, che testimonia un amore infinito per gli uomini, e in nome di questo amore patisce e muore - lui Dio! - per salvarli. Ecco la radice teologica spirituale mistica dell'amore di Camillo per gli ammalati, e della sua totale consacrazione al loro servizio. Era il suo modo di interpretare e sublimare la regola tradizionale del Santo Spirito: CHI CURA E ASSISTE GLI INFERMI DEVE CONSIDERARLI E TRATTARLI COME I SUOI PADRONI

Teoria? Spiritualità? Dall'alba a tarda sera, e spesso anche di notte (durante i turni che noi chiamiamo di guardia medica), de Lellis viveva ad ogni istante questa visione cristiana del malato e del suo dolore. Riassettava i letti dopo averli ripuliti dalla peggiore e immaginabile sporcizia, lo stesso faceva con i degenti lavandoli e riaccomodandoli tra le coltri con ogni cura. Quand'era il momento li accompagnava al gabinetto; ma preferiva che evitassero quei locali incredibilmente luridi e infetti, per cui si portava dietro alcuni orinali che poi lui stesso vuotava e nettava, così come i vasi con gli escrementi. Trascinando la gamba malata girava da una corsia all'altra, da un letto all'altro correndo dove c'era bisogno: da quelli che si lamentavano, che stavano male, che lo chiamavano. 
Si informava degli effetti e decorsi terapeutici presso i medici o inservienti, somministrava i farmaci, imboccava, rincalzava le coperte: tutto fra CAREZZE, SORRISI E PAROLE DI CONFORTO, FIDUCIA, SPERANZA. Senza invadenza, senza interferire esortava con la parola e l'esempio il personale a fare di più, a darsi di più: «Mettete più cuore in quelle mani!», ripeteva specialmente ai confratelli, che per lui non si prodigavano mai abbastanza. «Non è sufficiente fare le cose, bisogna farle con il cuore. L'amore è la miglior cura di tutti mali, quella che rende salutari tutte le altre terapie»



Se era in gioco il bene e l'interesse dei malati non esitava a insistere, ad alzare la voce: come quando reclamava lenzuola, coperte o altro a impiegati e responsabili troppo avvezzi a lesinare pure l'essenziale. E di tutto quest'impegno,  questa fatica quotidiana - in un posto dove i malati, medici, visitatori, tutti si sentivano a disagio e avrebbero preferito stare altrove - Camillo non avvertiva mai il peso, la pena. Per lui l'ospedale era un giardino di delizie, il suo paradiso: più di un testimone lo vide entrare in estasi fra i malati.
Si consumava per gli infermi con il sorriso sulle labbra, contento, elettrizzato; il cuore che aveva in mano e donava tutto ai sofferenti era un cuore pieno di gioia. Non avrebbe voluto lasciare i malti in tutto l'arco delle 24 ore; lo dimostra il fatto che al Santo Spirito aveva chiesto e ottenuto una stanzetta dove riposare qualche ora di notte e medicarsi la gamba.

E una conferma di tutto questo è negli ultimi 7 anni della sua vita, quando lascerà volontariamente la guida dell'Ordine per dedicarsi solo ai malati.
Con questo amore ai malati e a Gesù sofferente de Lellis riformò la sanità del suo tempo e gettò le basi del sistema sanitario-assistenziale-ospedaliero moderno, fondato -al meno in linea di principio - sul rispetto e la centralità del malato.
Infatti de Lellis nutriva un grande rispetto per la dignità e diritti del malato, di cui oggi tanto si parla. Un esempio valga per tutti. Prima della sua riforma per essere ricoverati in ospedale bisognava confessarsi e comunicarsi. Camillo contestò e con il tempo rese obsoleto quest'uso: l'infermo andava comunque accolto; poi con calma, se e quando lo avesse desiderato e chiesto, si sarebbe accostato ai sacramenti. Una piccola grande rivoluzione che significò molto, non solo nella cultura sanitaria e nella vita degli ospedali, ma anche sul piano ecclesiale spirituale [...]

Cit. dal libro Camillo de Lellis, Mario Spinelli pag. 172-175

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