Omelia della IV Domenica di Pasqua: Gesù Buon Pastore


Sorelle carissime,

La quarta domenica dopo Pasqua è sempre dedicata al tema del ‘buon pastore’.

È la domenica delle vocazioni, specialmente quelle sacerdotali e religiose; è la domenica che segna, nei Vangeli, il passaggio dalle apparizioni del Risorto ai discorsi che preparano Ascensione e Pentecoste;

È la domenica che ci chiede Audacia e Sacrificio nella missione di evangelizzazione.

È la domenica che ci ricorda che la nostra vita ha bisogno di una guida, di un pastore, di qualcuno che sia in grado di condurla, proteggerla, offrirle una parola di salvezza.



DARE LA VIE! SACRIFICO QUOTIDIANO

«Io sono il buon pastore». Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.
Cioè, la mia forza è l’amore, il mio linguaggio è il dono di sé. Chi ama sente, chi esce dall’egoismo immediatamente avverte anche la mia voce. Il Pastore, quello vero, quello ‘per eccellenza’ è identificato da Gesù nella sua persona. Il Pastore Vero dice Gesù “da la vita per le pecore”. Chi è il mercenario? Il mercenario è colui che agisce per proprio tornaconto. Gesù rivela qual è la differenza tra il Buon Pastore e il non pastore. Il Buon Pastore dona la sua vita per le pecore. Il non pastore si prende la vita delle pecore. Diceva san Tommaso d’Aquino, “l’amore non è una MANO! L’amore non prende! L’amore dona! Si sorelle, l’amore è APERTURA e no COPERTURA!
L’ autorità del Buon Pastore non è data da un ruolo o da un’imposizione, ma nasce dalla sua capacità di ‘dare la vita’. Gesù espone la sua vita, affrontando il pericolo con le pecore e difendendole dai lupi, a differenza del mercenario; poi dispone la vita, dedicando tempo, ascolto, parole alle sue pecore, di modo che tra lui e loro ci sia una conoscenza reciproca; infine, depone la sua vita, prendendo l’ultimo posto, il posto dei servi. Questo è il suo modo di amare. E noi siamo chiamati a confrontarci con esso, perché anche a noi è affidato il compito di ‘pascere’ le persone che ci sono accanto; solo Gesù è il pastore autentico, ma noi – i suoi discepoli – siamo chiamati a custodirci reciprocamente, imitando il suo modo di essere (‘dall’amore che avrete l’uno per l’altro, tutti capiranno che siete miei discepoli’). Quindi nella comunità cristiana e religiosa, chi agisce esclusivamente per il proprio interesse, per il proprio tornaconto, per il proprio prestigio, Gesù non gli riconosce nessun titolo, nessuna carica, se non quella di essere il mercenario.
In comunità, chi agisce per comodità, per convenienza, per affinità, secondo l’umore o il sentimento, non dà la sua vita! Il mercenario, in fondo, non è una persona malvagia; è semplicemente uno stipendiato, uno che – come tanti – fa il suo lavoro per vivere. Il Vangelo dice che le pecore ‘non gli appartengono’; gli procurano il sostentamento, sì, ma niente di più. Sorelle carissime, nelle nostre comunità si può vivere da stipendiati, da stranieri, peggio da padroni. O commando io o mi limito al minimo possibile. Se non siamo capaci di sacrificare la nostra vita per la sorella, per la nostra comunità qui e adesso, inutile deluderti di poter dare la vita a Dio, agli altri. Diventa uno stile incorreggibile.  
“Occorre imparare giorno per giorno che io non possiedo la mia vita per me stesso. Giorno per giorno devo imparare ad abbandonare me stesso; a tenermi a disposizione per quella cosa per la quale Egli, il Signore, sul momento ha bisogno di me, anche se altre cose mi sembrano più belle e più importanti. Donare la vita, non prenderla. È proprio così che facciamo l'esperienza della libertà. La libertà da noi stessi, la vastità dell'essere. Proprio così, nell'essere utile, nell'essere una persona di cui c'è bisogno nel mondo, la nostra vita diventa importante e bella. Solo chi dona la propria vita, la trova. » (Benedetto XVI, maggio 2006)
“Si cerca per la Chiesa un uomo  che trovi la sua libertà  nel vivere e nel servire  e non nel fare quello che vuole.” (Don Primo Mazzolari)

PARRESIA! AUDACIA PER IL VANGELO 

Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato ad un uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la salute, la cosa sia nota a tutti voi e a tutto il popolo d'Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo…”

Il Sinedrio ha tentato di zittire e distruggere l’opera di Gesù inchiodandolo alla croce. Ma si sorprende di dover improvvisamente fare i conti con Lui. La Chiesa, nella persona degli apostoli, continua a rendere vivo il Cristo. Gesù è vivo e opera. 
Questo brano mette in luce il mistero della chiusura dell’uomo alla verità: i segni sono di aiuto se l’uomo è ben disposto ad accoglierli.
Ma il brano mostra anche la forza trasformante dello Spirito che è capace di rendere testimoni audaci, franchi e sicuri. Dio deve essere seguito a qualunque costo: lo Spirito Santo ci dà la capacità e la forza. Audacia e schiettezza. Dalla paura, dalla fuga, dal rinnegamento alla Parresia! Questa è la caratteristica della Chiesa primitiva, nata dalla risurrezione. . Non si ferma piu. 
“La santità è parresia: è audacia, è slancio evangelizzatore che lascia un segno in questo mondo… Audacia, entusiasmo, parlare con libertà, fervore apostolico, tutto questo è compreso nel vocabolo parresia, parola con cui la Bibbia esprime anche la libertà di un’esistenza che è aperta, perché si trova disponibile per Dio e per i fratelli" (GE, 129). Voce di don Tonino Bello:  Che cos'è la parresia? È il parlar chiaro, senza paura e senza tentennamenti di fronte alle minacce del potere. (...) Con tutta franchezza. Senza peli sulla lingua. Senza sfumare le finali, per amor di quieto vivere. 
La parresia è sigillo dello Spirito, testimonianza dell’autenticità dell’annuncio. E’ felice sicurezza che ci porta a gloriarci del Vangelo che annunciamo, è fiducia irremovibile nella fedeltà del Testimone fedele, che ci dà la certezza che nulla «potrà mai separarci dall’amore di Dio» (Rm 8,39).
Abbiamo bisogno della spinta dello Spirito per non essere paralizzati dalla paura e dal calcolo, per non abituarci a camminare soltanto entro confini sicuri. Ricordiamoci che ciò che rimane chiuso alla fine ha odore di umidità e ci fa ammalare. Quando gli Apostoli provarono la tentazione di lasciarsi paralizzare dai timori e dai pericoli, si misero a pregare insieme chiedendo la parresia: «E ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di proclamare con tutta franchezza la tua parola» (At 4,29). E la risposta fu che «quand’ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati di Spirito Santo e proclamavano la parola di Dio con franchezza» (At 4,31).  (CF GE, 132,133)
P. Modesto MI 


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