Il senso della malattia. Una comunicazione intensa di amore Commento al Vangelo V Domenica del T.O.

“Ricordati che un soffio è la mia vita”. Sono le parole che sentiamo dire oggi nella prima lettura per mezzo della bocca dello “sciagurato” Giobbe. Ebbene, queste parole sintetizzano il senso della liturgia dell’odierna domenica collegandosi così alla pagina del Vangelo di Marco, mettendo in evidenza il senso della malattia. 
Il Gesù di questa domenica è un Gesù molto impegnato a guarire persone malate e a sanare gli indemoniati, tanto che sembra avvertire l’esigenza di staccare un po’ la spina e riposare quando i suoi discepoli vanno a dirgli “Tutti ti cercano!” e lui risponde: “Andiamocene altrove”, oppure al mattino presto, quando tutti ancora dormono, lui si alza per ritagliarsi il tempo della preghiera per non correre il rischio di non trovare il tempo da dedicare al rapporto con Dio. Gesù non è un taumaturgo o un santone di turno, ma è il Figlio di Dio che ha la missione di mettere al servizio dell’umanità bisognosa l’amore di Dio che guarisce e dona la vita. 
Tra qualche giorno, esattamente tra una settimana, celebreremo la festa della Madonna di Lourdes, una festa dedicata a chi soffre e vive il tempo del dolore. È un tema alquanto scottante in un tempo in cui sentiamo parlare di spine da staccare, morte lenta, ospedali della morte, biotestamento, riducendo la persona più alla sua capacità di efficienza che al suo stesso essere. Inutile negare che la corrente culturale odierna va sempre più imponendo un’antropologia efficentista, ridotta a mero “fare” più che sull’essenza dell’essere. Di un essere se stesso, razionale e relazionale. È il concetto di persona che viene sempre più meno oggi, quella persona spogliata della sua naturale capacità razionale, opponendo un sistema etico senza norme morali e fondata sul libero arbitrio senza fondo, disordinato, e riducendo tutto ad una questione giudiziaria. 
Descrivere cosa sia la malattia non è certamente una passeggiata frettolosa. Sarebbe il caso che parlasse qualcuno che vive questa esperienza con intensità umana e spirituale. A dire il vero, conosco diverse persone, tra queste qualche bambino, che ogni giorno sono chiamate letteralmente a lottare per continuare a vivere. Una lotta condotta nella voglia di voler continuare a vivere, in uno spirito di continua preghiera, senza piangersi addosso e senza pretese. Sono persone che ancor più risaltano la massima espressione della dignità umana. Non parlano di spine da staccare, non accennano al biotestamento, non sono disperate. Anzi, ne hanno di vita da vendere! 
Certamente, a partire dalla drammatica esperienza della croce di Gesù, la sofferenza e il dolore hanno un posto privilegiato nel cuore della spiritualità cristiana, dove i protagonisti non sono solo i malati ma anche quelli che sono loro accanto: famigliari, amici, medici, infermieri, volontari, sacerdoti. Nella malattia e nella sofferenza si instaura una relazione “di sangue” tra il malato e chi lo assiste, una relazione così stretta che non c’è assolutamente bisogno di proferire parole, ma basta guardarsi o stringersi la mano o accarezzare per comunicarsi. È una comunicazione intensa di amore. 
Nella cultura di oggi è necessario contrapporre ad un’azione che conduce alla morte una pastorale di amore e di cura, una pastorale sanitaria efficiente e intrisa di tenerezza, sviluppando maggiormente il valore del volontariato, come espressione di vicinanza vera e appassionata. 
Se il malato percepisce concretamente la vicinanza di chi deve assisterlo, certamente non si sentirà solo, non cadrà nella trappola della disperazione, non si sentirà un peso, non vivrà in modo arrabbiato. È la pastorale della vicinanza che oggi bisogna proporre in modo nuovo e convinto. Anche gli stessi medici e infermieri, non sono chiamati semplicemente a “lavorare”, quanto ad esercitare la loro forza d’amore con l’attenzione, la cura, la donazione di sé, l’impegno. 
Una vera rivoluzione culturale si potrà realizzare nel nostro contesto sociale solo a partire da questa vicinanza, dall’attenzione riservata ai malati e ai sofferenti e, insieme, si cambierà il sistema antropologico odierno di morte in sistema che genera soltanto vita, speranza e amore. 
Don Onofrio Farinola

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