Quale colore ha mio Padre? Commento al Vangelo del 05 Novembre 2017, XXXI domenica del T.O.

Tanti colori spenti dipingono la nostra esistenza
“Uno solo è il Padre vostro, quello celeste”. Così esordisce Gesù nella pagina del Vangelo di questa domenica e una domanda può nascere spontanea per la nostra riflessione: chi è mio padre? Un’altra potrebbe conseguire: quale colore ha mio padre? La parola “padre” certamente non si riferisce alla figura genitoriale, ma è una metafora che vuole rimandare al senso più profondo, ad una riflessione più approfondita. A volte capita di costruirsi tanti padri, tante figure che fanno da padre alla nostra vita, dimenticando magari proprio l’immagine del padre-genitore. Per cui ne consegue che tanti colori spenti dipingono la nostra esistenza. Il colore celeste di cui parla Gesù nel Vangelo rimanda certamente alla limpidezza, alla trasparenza, alla luminosità di una figura, a quella del Padre (con la P maiuscola!). Allora, a chi padre ci siamo votati? Sotto quale paternità ci siamo sottomessi nella nostra vita? Da chi padre ci lasciamo guidare? È inutile dire che padre potrebbe essere il denaro, il potere, l’arroganza, la superbia, l’egoismo, l’indifferenza, l’ingiustizia… che non hanno certamente un colore limpido come il celeste. Denunciando i comportamenti dei notabili del tempo, gli scribi e i farisei, Gesù così si esprime: “Essi dicono e non fanno. Legano pesanti fardelli sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente… si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati rabbì dalla gente”. 
Non di rado capita di sottomettersi a rabbì, ossia ai padri che non sono semplicemente legati alla questione morale, quanto invece a coloro che nella società si ergono in maniera indebita a padri/guide, solo perché possiedono più degli altri, perché occupano un particolare posto sociale, perché la loro carriera è fatta di studi superiori e di scalate immorali, perché pensano di poter comprare cose e persone con denaro sottratto ingiustamente e illecitamente, solo perché con un linguaggio mieloso riescono ad incantare gli interlocutori. 
Purtroppo, non di rado, questo comportamento è assunto da coloro che si professano cristiani, i quali sono chiamati a vivere la paternità nello spirito del servizio e dell’amore, ma anche dell’umiltà e del nascondimento. Ecco perché il Maestro Gesù di Nazareth esorta: “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”. I politici cristiani, gli economisti cristiani, i giudici cristiani, i professionisti cristiani, gli insegnanti cristiani, i genitori cristiani, compresi il Papa, i vescovi e i sacerdoti, coloro cioè che nella Chiesa sono chiamati in modo preminente al servizio ministeriale, devono avere un solo criterio per vivere la loro paternità morale, sociale e culturale: il servizio umile e amorevole, senza la pretesa di essere messi al primo posto, di comparire sempre, di pretendere sempre i primi posti nelle grandi circostanze, di essere riconosciuti, di avere sempre una sedia riservata in prima fila, di essere sempre citati per ricevere consensi e applausi. 
Dunque, né sottomettersi a padri fasulli, padri-idoli, padri costruiti a nostra immagine e somiglianza per crearci le nostre false sicurezze, né ergersi a tutti i costi a padri di tutti con la pretesa di manovrare le coscienze dei più deboli, dei più fragili, dei più indifesi. “Non chiamate padre nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare guide, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo”.
Don Onofrio Farinola

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