Padre Raniero Cantalamessa. Seconda Predica di Avvento. Lo Spirito Santo e il carisma del discernimento

9 dicembre
Continuiamo le nostre riflessioni sull'opera dello Spirito Santo nella vita della Chiesa e del cristiano. San Paolo menziona un carisma particolare dello Spirito chiamato ”discernimento degli spiriti” (1 Cor 12, 10). All'origine, questa espressione ha un senso ben preciso: indica il dono che permette di distinguere, tra le parole ispirate o profetiche pronunciate durante un’assemblea, quelle che vengono dallo Spirito di Cristo da quelle che provengono da altri spiriti e cioè o dallo spirito dell’uomo, o dallo spirito demoniaco, o dallo spirito del mondo.
Anche per l’evangelista Giovanni questo è il senso fondamentale. Il discernimento consiste nel “mettere alla prova le ispirazioni per saggiare se provengono veramente da Dio” (1 Gv 4,1-6). Per Paolo il criterio fondamentale di discernimento è la confessione di Cristo come “Signore” (1 Cor 12, 3); per Giovanni è la confessione che Gesù “è venuto nella carne”, cioè l’incarnazione. Già con lui il discernimento comincia ad essere usato in funzione teologica, come criterio per discernere le vere dalle false dottrine, l’ortodossia dall'eresia, ciò che diventerà centrale in seguito.
1. Il discernimento nella vita ecclesiale

Esistono due campi in cui si deve esercitare questo dono del discernimento della voce dello Spirito: quello ecclesiale e quello personale. Nel campo ecclesiale, il discernimento degli spiriti è esercitato in modo autorevole dal magistero, che deve però tener conto, tra gli altri criteri, anche del “senso dei fedeli”, il “sensus fidelium”.
Vorrei soffermarmi su un punto in particolare che può essere di aiuto nella discussione in atto nella Chiesa su alcuni problemi particolari. Si tratta del discernimento dei segni dei tempi. Il concilio ha dichiarato:
“È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del vangelo, così che, in un modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto” .
E’ chiaro che se la Chiesa deve scrutare i segni dei tempi alla luce del Vangelo, non è per applicare ai “tempi”, cioè alle situazioni e ai problemi nuovi che emergono nella società, i rimedi e le regole di sempre, bensì per dare ad essi risposte nuove, “adatte ad ogni generazione”, come dice il testo appena citato del concilio. La difficoltà che si incontra su questo cammino – e che va presa in tutta la sua serietà – è la paura di compromettere l’autorità del magistero, ammettendo dei cambiamenti nei suoi pronunciamenti.
C’è una considerazione che può aiutare, credo, a superare, in spirito di comunione, questa difficoltà. L’infallibilità che la Chiesa e il Papa rivendicano per sé, non è certamente di un grado superiore a quella che viene attribuita alla stessa Scrittura rivelata. Ora l’inerranza biblica assicura che lo Scrittore sacro esprime la verità nel modo e nel grado in cui essa poteva essere espressa nel momento in cui scrive. Vediamo che molte verità si formano lentamente e progressivamente, come quella dell’aldilà e della vita eterna. Anche nell'ambito morale, molti usi e leggi anteriori vengono, in seguito, abbandonate per fare posto a leggi e criteri più rispondenti allo spirito dell’Alleanza. Un esempio tra tutti: nell'Esodo, si afferma che Dio punisce le colpe dei padri nei figli (cf. Es 34, 7), ma Geremia ed Ezechiele diranno il contrario e cioè che Dio non punisce le colpe dei padri nei figli, ma che ognuno dovrà rispondere delle proprie azioni (cf. Ger 31, 29-30; Ez 18, 1 ss.).
Nell'Antico Testamento il criterio in base al quale si superano delle prescrizioni anteriori è quello di una migliore comprensione dello spirito dell’Alleanza e della Torah; nella Chiesa il criterio è quello di una continua rilettura del Vangelo alla luce delle domande nuove ad esso poste. “Scriptura cum legentibus crescit”, diceva san Gregorio Magno: la Scrittura cresce con coloro che la leggono .
Ora noi sappiamo che la regola costante dell’agire di Gesù nel Vangelo, in fatto di morale, si riassume in poche parole: “No al peccato, sì al peccatore”. Nessuno è più severo di lui nel condannare la ricchezza iniqua, ma si autoinvita a casa di Zaccheo e con il suo semplice andargli incontro lo cambia. Condanna l’adulterio, perfino quello del cuore, ma perdona l’adultera e le ridà speranza; riafferma l’indissolubilità del matrimonio, ma si intrattiene con la Samaritana che aveva avuto cinque mariti e le rivela il segreto che non aveva detto a nessun altro, in modo così esplicito: “ Sono io (il Messia) che ti parlo” (Gv 4, 26).



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