«È entrato in casa di un peccatore!» Commento al Vangelo del 30 ottobre 2016, XXXI domenica del T.O.

Comincia con un vero e proprio inno alla misericordia di Dio l’ascolto della liturgia della Parola di questa domenica. Il testo del libro della Sapienza inebria il nostro cuore e le nostre orecchie con soavi parole. Dinanzi a questo mondo, a un mondo abbruttito e consumato, Dio continua ad avere compassione, sembra chiudere gli occhi quasi quasi per far finta di nulla, attendendo che l’uomo stesso si renda conto di ciò che sta avvenendo, di quello che sta facendo e ritorni a lavorare invece per il bene. Dinanzi a questo mondo corrotto e invecchiato, Dio continua a sperare e a credere alla sua meravigliosa opera, senza cedere il passo alla vendetta e al castigo. Dinanzi a questo mondo dove la vita sembra sempre più screpolarsi a causa delle brutture umane, Dio continua a effondere il suo amore, ad amarlo così com'è, ad essere clemente e indulgente. 
Non è un Dio inerte ed inerme, ma un Dio che continua a coltivare la speranza, un Dio che continua ad effondere amore, un Dio che continua a credere nella bellezza del suo uomo, un Dio che continua ad avere fiducia nel suo creato. Un Dio che sa fino a che punto restarsene in silenzio. Quel Dio meraviglioso che noi incontriamo nella pagina del Vangelo di Luca. È il Dio che in Gesù si accorge della piccolezza dell’uomo e lo chiama per metterlo su un piano più alto. 
Il racconto della storia e della chiamata del “piccolo” Zaccheo ci fa comprendere l’attenzione di Dio verso le piccolezze umane, ovvero verso ciò che un tempo era “grande” e poi diventa “piccolo”. Zaccheo è il simbolo dell’uomo che si lascia travolgere dalla miseria e dal peccato. Quel piccolo uomo di Gerico era diventato piccolo di statura perché schiacciato dalla ricchezza, dall'essere capo di una realtà sociale. Non ha vissuto il suo status con onestà, con prudenza, con sincerità, con amore, con spirito di dedizione. Anzi, sembra essersene approfittato. Tanto da esserne schiacciato e non avere la possibilità di vedere oltre. Lui, che era sopra tutti nella società, ha dovuto arrampicarsi su un albero per vedere il Maestro di Galilea, ha avuto bisogno di salire su un albero, simbolo di una vita rigogliosa, verdeggiante, in continua crescita, vigorosa. Non è un caso che sia l’albero del sicomoro, una pianta gigante nelle sue proporzioni, estesa, con larghe foglie e un tronco massiccio. È la rigogliosità della vita, di una vita che cresce, stabile, ben radicata. 
Zaccheo aveva in realtà sradicato la sua vita dall'amore per Dio e per il prossimo, ripiegandosi su se stesso, sulle sue ricchezze, sul suo potere sociale. L’incontro con Gesù lo porta a rialzarsi, a trapiantare la sua esistenza su ciò che conta nella vita, su ciò che è fondamentale, su ciò che è stabile, su quello che realmente dà sicurezza.
Per questo esclama: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 
Non si può vivere l’incontro vitale con l’amore misericordioso di Dio se ci si lascia schiacciare dall'egoismo, dall'indifferenza, dal potere, dalla ricchezza di un bottino che oggi c’è e domani viene spazzato via da un terremoto, da una sicurezza che illude ed è istantanea. 
Anche noi, come Zaccheo, scrolliamoci di dosso quanto ci appesantisce e riduce la nostra altezza. Anche noi come Zaccheo, apriamo il nostro cuore a Dio mentre siamo in grado di donare al prossimo ciò che possiamo condividere. Anche noi come Zaccheo, accogliamo con gioia il Signore che non si stanca delle nostre miserie ma ci dona continuamente il suo amore e il suo perdono. Anche noi come Zaccheo, gioiamo e facciamo festa perché Dio ci ama e usa pazienza. 
E allora non saremo più ricurvati sotto il peso delle nostre miserie ma sollevati sopra la bilancia dell’amore e del perdono di Dio. 
Padre Onofrio Antonio Farinola
Sacerdote cappuccino

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