«Non potete servire Dio e la ricchezza» Commento al Vangelo del 18 settembre 2016, XXV domenica del TO

"Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e il denaro": è il richiamo di Gesù che troviamo nella pericope lucana di questa domenica. 
È come dire, due piedi in una sola scarpa non si possono avere. Non solo, ma in termini evangelici questo significa saper fare discernimento e servire ciò che realmente bisogna servire e che Dio non ha nulla a che spartire col denaro. 
Il denaro appartiene a Cesare e a Dio appartiene la gloria. Del denaro non si serve ma ci si serve per le normali attività umane, mentre Dio si serve e non ci si serve a proprio piacimento. Il denaro non serve per comprare Dio. Dio non lo si compra con quattro soldi per quanto tanti possano essere. A Dio non appartiene la ricchezza umana fatta di quattro soldi, ma la semplice povertà di un cuore sincero e umano, di un cuore rivolto verso il prossimo, di un cuore costantemente disponibile ad andare incontro ai bisogni dei poveri e degli ultimi della terra, di un cuore capace e ricapace di perdonare. Il denaro regola i rapporti umani e non quelli tra Dio e l’uomo. 
Ecco la voce di Dio che il profeta Isaia fa risuonare: Chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Per andare a Dio non servono le nostre elemosine, non necessita essere sfrenati possidenti di chissà quali proprietà, non è per nulla ammesso chi ha il portafogli pieno di monete. Con ragione Gesù proclama sul monte "Beati i poveri in spirito". 
È lo spirito semplice e fiducioso che conta dinanzi a Dio e non il denaro o le tante proprietà, fonte di litigi e di amare rotture relazionali. Che non capiti di rompere pure i rapporti con Dio per colpa di quattro spiccioli! Un cuore povero capace di andare incontro ad un cuore ancora più povero; un cuore povero capace di non disprezzare i poveri e gli ultimi; un cuore povero che non confidi in un cuore ricco per amicizie disoneste e immorali; un cuore povero che volge la sua attenzione verso gli indigenti della porta accanto. Questo cuore è davvero ricco dinanzi a Dio. E questo cuore è capace di mostrare la fedeltà nel poco e nel molto. Un cuore disonesto non è un cuore che ha fatto una scelta corretta e morale, una scelta a favore dei poveri e di Dio. 
"L’attaccamento al denaro è radice di tutti i mali", ci ricorda san Paolo nella prima lettera a Timoteo. È la radice di ogni rottura relazionale, di ogni barbara divisione tra gli uomini. E lo possiamo costatare confrontando le attuali situazioni dove per il denaro uomini, Stati e gruppi fanno di tutto, uccidono, si inventano guerre qua e là, schiacciano la dignità di miliardi di esseri umani, privano i più indifesi del necessario per vivere. Aveva ragione san Giovanni Crisostomo quando affermava: "Il tuo e il mio, questa fredda parola: qui scoppia il contrasto, qui sorgono le inimicizie. Dove invece codesta distinzione non esiste, non si vedono sorgere né conflitti né rivolte. Di modo che la comunanza è nostro retaggio, più che la proprietà". 
E allora sarebbe bene lasciarci penetrare dall'invito di Gesù, il quale ci mette sull'attenti a non servire il padrone sbagliato che crea divisioni e non gioia interiore, armonia tra gli esseri, relazione vera e sincera con Dio. L’invito è vivere la povertà evangelica che crea uguaglianza, equità, pace, carità, perdono, amicizia, armonia, gioia. Quella povertà di spirito che ci permette di volgere lo sguardo verso i poveri, verso i bisognosi, verso i sofferenti. 
Padre Onofrio Antonio Farinola sacerdote cappucino

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